Concorrenza sleale e nullità del marchio: il caso Gucci vs Guess

MARCHI / FASHION LAW

Concorrenza sleale e nullità del marchio: il caso Gucci vs Guess
La Guccio Gucci S.p.A. citava in giudizio la Guess ? Inc. e la sua consociata italiana Guess Italia
S.r.l. per aver intrapreso, sin dal 2000, un’illecita condotta contraffattoria e sleale, per la
commercializzazione, nel mercato italiano, di prodotti che replicavano segni distintivi, modelli e
linee della casa di moda fiorentina.
La sentenza in esame rappresenta il secondo capitolo della disputa legale tra le due aziende
considerato che, già nel 2009, la Southern District Court of New York disponeva, nei confronti di
Guess, un’inibitoria perpetua dell’utilizzo dei relativi segni contraffattori condannandola, con le
altre convenute, al pagamento in favore di Gucci S.p.A. di una somma superiore a 4 milioni di
dollari a titolo di retroversione degli utili, per aver tentato Guess di “Guccizzare” i propri prodotti al
fine di sfruttare la reputazione e l’alta qualità indiscutibilmente riconosciuta ai prodotti Gucci nei
mercati internazionali.
Nel giudizio italiano, avente stesso petitum e causa petendi di quello americano, il Tribunale
di Milano è stato chiamato a decidere, oltre che sui singoli addebiti di concorrenza sleale ex art.
2598, n. 1, 2 e 3, c.c. formulati da Gucci nei confronti di Guess, anche sulle domande
riconvenzionali proposte da quest’ultima con le quali chiedeva che gli stessi marchi Gucci venissero
dichiarati nulli per insussistenza dei requisiti di legge.
Per meglio illustrare la decisione del Tribunale di Milano si prendono in esame, a titolo
semplificativo, solo due tra gli undici marchi Gucci oggetto del petitum: il tessuto a stampa c.d.
“Flora” e il marchio avente ad oggetto la scritta “Gucci” in corsivo con sottolineatura.
Per quanto riguarda il primo, il Tribunale di Milano, seppur classifichi tale disegno come un
marchio di forma ex art. 9 c.p.i., lo dichiara nullo poichè percepito dal consumatore come mero
motivo decorativo del prodotto.
In sostanza, la nullità del marchio in esame sta nel fatto che sul medesimo è possibile cogliere
l’elemento estetico come preponderante (funzione estetico-ornamentale), se non addirittura
esclusivo e comunque tale da determinare la scelta del consumatore, non in quanto indice di una
certa provenienza (funzione distintiva), ma proprio per la sua funzione ornamentale.
Diversa è la decisione presa dal Collegio riguardo il marchio con scritta “Gucci” in corsivo
con sottolineatura, depositato l’1 aprile 1996, e presentato come uno dei marchi iconici in titolarità
di parte attrice in quanto utilizzato già a partire dagli anni ’40 -’50 del secolo scorso e, così,
ricoperto dalla tutela prevista per i marchi celebri.
La difesa Guess, in merito, contestava la diversità letterale, fonetica e concettuale tra le
espressioni “Gucci” e “Guess” asserendo, inoltre, di utilizzare, senza contestazione alcuna, il
carattere corsivo per il proprio marchio con e senza sottolineatura già dal 1982 e quindi ben prima
del 1996 con la conseguenza che si sarebbe, invece, potuta rilevare la nullità per difetto di novità
del macchio Gucci.
Tuttavia, il Collegio ha ritenuto di dover riconoscere la validità per preuso del marchio Gucci
in questione, poiché ha acquisito notorietà negli anni essendo stato fatto oggetto di un uso
continuato nel tempo tale da non potersi ritenere maturata alcuna decadenza e rigettando, così, la
domanda di nullità avanzata da Guess per carenza di capacità distintiva.
L’addebito di contraffazione in relazione a detto marchio appare quindi di rilievo assorbente
per il Tribunale data la diversità delle denominazioni che compongono il logo Gucci da quello
Guess e che lo caratterizzano per suoni e per una visione d’insieme totalmente difforme.
Infine, il Collegio riconoscendo che le scelte stilistiche di Guess non si siano ispirate ed
allineate a quelle attuate da Gucci esclude per tutti i marchi, sia nulli che validi in titolarità di
quest’ultima, il verificarsi dell’addebito di concorrenza parassitaria in capo a Guess ex art. 2598,
n.3, c.c. . In questo caso, deve quindi evidenziarsi come l’effetto differenziatore valorizzato nel
confronto fra l’uno e l’altro marchio, viene amplificato in conseguenza della loro notorietà ed anche
per il fatto che il consumatore di riferimento si dimostra particolarmente attento non trattandosi di
prodotti definibili a “buon mercato”.
OSSERVAZIONI – Indiscussa sembrerebbe essere la validità di tutti i marchi Gucci oggetto del
giudizio e dichiarati nulli in quanto dotati di carattere distintivo e quindi idonei ad essere oggetto di
rappresentazione grafica chiara, precisa, completa, costante, secondo i requisiti di legge.
Infatti, ai sensi dell’art.7 c.p.i., “possono costituire oggetto di registrazione come marchio
d’impresa tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole,
compresi i nomi di persone, i disegni […] purché siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di
un’impresa da quelli di altre imprese” e nel rispetto dei requisiti di capacità distintiva, di novità e di
liceità.
Inoltre, deve evidenziarsene anche l’intrinseco carattere distintivo ex art. 13, commi 2 e 3,
c.p.i. il quale, in deroga agli artt. 13, comma 1, e 12, comma 1, lett. a), c.p.i., afferma che possono
costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni che prima della domanda di
registrazione, a seguito dell’uso che ne sia stato fatto, abbiano acquistato carattere distintivo.
Si ricorda, inoltre, che la disciplina in materia tutela chi, pur senza registrare il marchio, ne
abbia fatto un uso continuativo e prolungato nel tempo, dato questo dimostrato da Gucci in giudizio.
Il grado e la forza di suddetta protezione variano, poi, a seconda dell’estensione dell’area di
diffusione del marchio interessato.
Altro criterio fondamentale, tra i segni distintivi, è quello della confondibilità. Esso, deve
essere accertato tenendo presente diversi aspetti quali: il tipo di consumatore destinatario dei
prodotti contrassegnati e, in secondo luogo, dal presupposto che il consumatore all’atto
dell’acquisto, non realizza il confronto tra i due segni contemporaneamente presenti, ma tra un
segno (quello del preteso contraffattore) ed il ricordo dell’altro (quello dell’attore in
contraffazione).
Ed è proprio dalla comparazione tra i marchi Gucci e quelli Guess che è possibile notare come
essi si distinguono per minimi particolari che solo un consumatore informato potrebbe riconoscere
poiché capace di cogliere le differenze che ad un consumatore medio altrimenti sfuggirebbero.
Il giudizio di comparazione dovrà, quindi, compiersi ponendosi nell’ottica del consumatore e
secondo il principio della globalità della valutazione ovvero, tenendo conto dell’impressione
d’insieme suscitata in un consumatore di media attenzione e diligenza, diversamente da quanto
affermato dal Tribunale di Milano, tanto più che la scelta è determinata da percezioni di tipo
immediato e sollecitazioni di carattere superficialmente sensoriale anziché da dati obbiettivi che
conducono ad una più riflessiva, attenta e meditata valutazione accentuandone il giudizio di insieme
di confondibilità.
Se si tenesse in considerazione quanto sin qui detto sulla validità dei marchi Gucci e sulle
caratteristiche del consumatore, la condotta sleale per confusione potrebbe configurarsi in capo a
Guess su tutti i prodotti per i quali i marchi Gucci erano stati registrati, a prescindere dall’uso che il
titolare ne abbia fatto e considerato che i marchi Guess sono stati usati per prodotti uguali o affini a
quelli in titolarità della parte attrice, in coerenza con l’insorgere di un concreto rischio di confusione
del mercato, così come si è verificato, a nostro avviso, nella fattispecie esaminata.

c.bono@giantinigianfaldoni.it